IL PRETORE
    Letti gli atti e sciogliendo la riserva;
                     OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
    1. - Con atto di precetto notificato in data 23  aprile  1993,  la
 I.C.L.A. S.r.l. intimava alla Comital S.p.a. il pagamento della somma
 complessiva  di  L. 4.924.298, riservandosi di agire in separata sede
 per l'esazione della residua parte del credito risultante dal decreto
 dichiarato esecutivo, per mancanza di opposizione, in data  31  marzo
 1993  e  spedito  in  forma  esecutiva in data 15 aprile 1993, con il
 quale il presidente del  tribunale  di  Torino  aveva  ingiunto  alla
 societa'  debitrice il pagamento dell'importo di L. 25.495.357, oltre
 interessi e spese.
    Avverso tale precetto, la Comital S.p.a. proponeva opposizione con
 atto di citazione notificato in data 28 aprile 1993.
    Esponeva l'attrice che il precetto  de  quo  era  da  considerarsi
 nullo,   sia   perche'   l'atto  di  intimazione  conteneva  l'errata
 indicazione della data di notificazione del decreto ingiuntivo,  sia,
 soprattutto, perche' il d.l. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito in
 legge  con  modificazioni della legge 17 febbraio 1993, n. 33, avente
 ad oggetto la soppressione dell'Efim,  stabiliva  all'art.  6,  sesto
 comma,  il  divieto  di  iniziare o proseguire azioni esecutive per i
 creditori dell'ente  stesso  e  di  tutte  le  societa'  controllate,
 qualora  il  credito  azionato  avesse titolo o causa anteriori al 18
 luglio 1992.
    Nel caso di specie sussistevano ambedue i presupposti della norma,
 in  quanto  il  credito  fatto  valere  dalla  I.C.L.A.  mediante  la
 procedura  monitoria  era  documentato  dalle  fatture commerciali n.
 1.140/91 e 7/92, emesse rispettivamente in data 19 dicembre 1991 e 31
 gennaio 1992, mentre il decreto del Ministro del tesoro  in  data  31
 ottobre 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.
 264  del  9  novembre  1992,  indicava  la  Comital  tra  le societa'
 direttamente o indirettamente controllate dall'Efim.
    Si costituiva ritualmente la  I.C.L.A.,  contestando  gli  assunti
 avversari.
    In  particolare,  la  convenuta  prospettava sotto diversi profili
 l'illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 6,  sesto
 comma, del d.l. n. 487/1992.
    Secondo  la prospettazione della I.C.L.A., l'impianto previsto dal
 d.l.  n.  487/1992  non  avrebbe  contemplato  alcun  intervento   o
 controllo  giurisdizionale per la tutela delle ragioni dei creditori,
 ne' istituito alcun organo preposto  alla  cura  di  tali  interessi;
 sarebbe  stato  inoltre  violato  il  principio  della  par  condicio
 creditorum, in quanto la sospensione dei pagamenti dei debiti imposta
 al commissario liquidatore, necessario pendant del divieto di  azioni
 esecutive  in  vista dell'attuazione del programma di cui all'art. 2,
 secondo comma, sarebbe stata  illegittimamente  derogata  per  alcune
 categorie  di  creditori,  creando  cosi'  una  disparita' che poteva
 determinare l'insufficienza del patrimonio delle societa' interessate
 a soddisfare tutti i creditori nella misura dovuta.
    La  compressione  dei  diritti dei creditori, infine sarebbe stata
 ulteriormente aggravata dalla inapplicabilita' degli artt.  2901  del
 c.c.  e  67  della  l.f. agli atti compiuti dal commissario e, su sua
 autorizzazione,  dalle  societa'  controllate,  con  la   conseguente
 impossibilita'  di  sottoporre  tali atti al sindacato previsto dalle
 azioni revocatorie (art. 8, primo comma, del d.l. n. 487/1992).
    Con memoria in data 12 luglio 1993,  la  I.C.L.A.  indicava  altri
 motivi di censura della normativa in questione.
    In  violazione degli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, l'art. 5
 del d.l. n. 487/1992 avrebbe previsto  il  pagamento  integrale  dei
 debiti  dell'Efim  e  delle  societa'  interamente  controllate,  sia
 direttamente  sia  indirettamente:   poiche'   la   Comital   risulta
 controllata  indirettamente  dall'Efim  per  il 99,99% (non si tratta
 quindi di societa' interamente controllata), l'esigua percentuale  di
 azioni   possedute   da   terzi   costituirebbe  mero  dato  formale,
 insufficiente  a  giustificare  la  disparita'  di  trattamento   nei
 confronti delle societa' interamente controllate.
    Argomentava  ancora  la convenuta sostenendo che il "blocco" delle
 azioni  esecutive  non  era  motivato  da  alcun  interesse  pubblico
 prevalente,  in  quanto  il  procedimento  disciplinato  dal d.l. n.
 487/1992 presentava anomalie tali da  non  poter  venire  qualificato
 come   procedura   concorsuale  indirizzata  al  soddisfacimento  dei
 creditori,  mentre  solo  una  simile  procedura  avrebbe  costituito
 "contropartita"  idonea  a giustificare il sacrificio dei diritti dei
 creditori.
    Per tutto quanto fino esposto, la I.C.L.A. instava  affinche'  gli
 atti   del   presente   procedimento  fossero  trasmessi  alla  Corte
 costituzionale.
    2. - Deve essere preliminarmente affrontato un problema di  ordine
 processuale.
    Si   potrebbe   argomentare   che  le  questioni  di  legittimita'
 prospettate non siano proponibili nel presente procedimento, poiche',
 mentre  l'art.  6,  sesto  comma,  vieta  le   azioni   esecutive   e
 l'esecuzione  stessa  inizia  con  il  pignoramento, la mera notifica
 dell'atto di  precetto  non  sarebbe  ancora  idonea  a  giustificare
 l'eccezione di nullita' ex art. 6, sesto comma.
    L'opinione e' infondata.
    E'  noto  che  la  notificazione  del  precetto  manifesta in modo
 esplicito e solenne  il  proposito  del  creditore  di  procedere  ad
 esecuzione forzata.
    Si tratta, inoltre, di un atto necessario, non potendosi procedere
 all'esecuzione  senza  prima  intimare  formalmente  al  debitore  di
 adempiere a quanto dovuto.
    Se, quindi, la notifica del  precetto  non  fa  ancora  parte  del
 processo  esecutivo, e' tuttavia innegabile che tale notifica e' gia'
 sufficiente    per    prospettare     come     imminente     l'inizio
 dell'esecuzione,cosi'  da  rendere  attuale l'interesse ad apporsi ad
 essa, se ritenuta illegittima.
    L'art. 615 del c.p.c. prevede pertanto che, quando si contesta  il
 diritto  della  parte  istante  a  procedere  ad esecuzione forzata e
 questa non e'  ancora  iniziata,  si  puo'  proporre  opposizione  al
 precetto.
    Di  fronte  alla domanda ex art. 615 del c.p.c. con cui la Comital
 ha contestato il diritto di controparte a procedere all'esecuzione in
 base al disposto dell'art. 6, sesto comma, legittimamente  dunque  la
 I.C.L.A. ha replicato sollevando la questione di incostituzionalita'.
    3.  -  La  complessita'  delle questioni sollevate dalla convenuta
 richiede, ancor prima di affrontare i profili relativi alla rilevanza
 e alla manifesta infondantezza delle  eccezioni  prospettate,  alcune
 premesse  di  carattere generale.  Il d.l. 19 dicembre 1992, n. 487,
 convertito in legge con modifiche dalla legge 17  febbraio  1993,  n.
 33,  disciplina  sia lo scioglimento e la liquidazione dell'Efim, sia
 la sorte di tutte le societa' controllate dall'ente,  direttamente  o
 indirettamente, totalmente o parzialmente.
    Per raggiungere questo obbiettivo (in riferimento soprattutto alle
 societa'  controllate),  il  commissario  liquidatore  predispone  un
 apposito programma che, al fine di  consentire  la  razionalizzazione
 industriale delle imprese interessate, deve individuare, tra l'altro,
 le societa', le aziende o parti di esse che possono essere trasferite
 a  terzi,  quelle  che  non sono suscettibili di utile trasferimento,
 indicando le procedure piu' idonee alla  dismessione  delle  relative
 attivita',  e  i principi di ristrutturazione delle societa' operanti
 nel settore dell'alluminio,  secondo  un  piano  triennale  (art.  2,
 secondo comma).
    Il commissario, con gli amplissimi poteri concessigli dall'art. 4,
 deve poi provvedere all'attuazione del programma, previa approvazione
 da  parte  del  Ministro  del  tesoro  di  concerto  con  i  Ministri
 dell'industria e delle partecipazioni statali.   Trascorsi  due  anni
 dalla data dell'approvazione ministeriale, l'Efim e le societa' che a
 tale data risultino ancora controllate verranno poste in liquidazione
 coatta amministrativa (art. 4, terzo comma).
    Nelle sue linee essenziali, il disegno generale della normativa in
 questione  risulta pertanto il seguente: a seguito di una vasta opera
 di riorganizzazione  industriale,  tendente  sia  a  salvaguardare  i
 livelli patrimoniali e occupazionali delle societa' controllate sia a
 rendere  "appetibili"  ai  terzi  compratori le imprese piu' toniche,
 l'intero  sistema  economico  controllato  dall'Efim  dovra'   essere
 "smantellato",  o  mediante  il  trasferimento  a terzi o mediante la
 liquidazione delle societa' non suscettibili di utile  trasferimento,
 che   trascorsi   i  due  anni  dovra'  avvenire  nella  forma  della
 liquidazione coatta amministrativa.
    E' prevista una disciplina particolare per  le  societa'  operanti
 nel  settore  dell'alluminio,  quale e' la Comital, nei cui confronti
 dovranno venire attuali i principi di ristrutturazione risultanti dal
 citato piano triennale.  Per quanto riguarda i debiti delle  societa'
 del  gruppo,  l'art.  5  prevede  il  pagamento  integrale dei debiti
 dell'Efim e delle societa' controllate per intero,  sia  direttamente
 sia  indirettamente (tra di esse, come si e' detto, non e' ricompresa
 la Comital), quando nel programma di cui all'art. 2,  secondo  comma,
 ne  sia  prevista  la liquidazione, e limitatamente ai debiti assunti
 nel periodo in cui il controllo era totale.
    Per le restanti societa', i debiti dovranno venire  accollati  dal
 compratore;  in caso di liquidazione, invece, la societa' rispondera'
 nei limiti del patrimonio.
    Al fine di permettere una corretta  predisposizione  e  successiva
 attuazione  del  programma  da  parte  del  commissario, e di evitare
 ulteriori perdite in capo alle aziende del gruppo, il legislatore  ha
 poi  disposto  la  "cristallizzazione"  della situazione patrimoniale
 dell'Efim  e di tutte le societa' controllate alla data del 18 luglio
 1992, stabilendo, da un lato, la sospensione dei pagamenti dei debiti
 da parte di tutte le societa' interessate, con le eccezioni di cui si
 dira', a far tempo da tale data, e, dall'altro, il divieto di  azioni
 esecutive,  concorsuali e cautelari in capo ai creditori per titolo o
 causa anteriori al 18 luglio 1992, sul patrimonio dell'ente soppresso
 o delle societa' controllate.    Come  si  vede,  il  legislatore  ha
 delineato   un  procedimento  amministrativo  ad  hoc,  integralmente
 predeterminato, in luogo di ricorrere ad una delle procedure  tipiche
 previste dall'ordinamento.
    Ora,  mentre  per  quanto  riguarda  l'Efim  la  disciplina non si
 discosta sostanzialmente dai principi generali  che  sottendono  alle
 procedure  liquidative  attualmente vigenti (cfr. la legge 8 dicembre
 1956, n. 1404, per la liquidazione degli enti pubblici non economici,
 gli artt. 11 e 21 delle disp. att. del c.c. per la liquidazione delle
 associazioni e  fondazioni,  nonche',  riguardo  agli  enti  pubblici
 economici,   la   normativa   relativa   alla   liquidazione   coatta
 amministrativa), tranne che per il  carattere  amministrativo  e  non
 giurisdizionale  di  ogni  fase  del procedimento, compresa quella di
 formazione dell'elenco dei crediti ammessi (art.  5,  quarto  comma),
 per  quanto riguarda le societa' controllate la disciplina appare del
 tutto singolare ed anomala,  tanto  da  aver  suscitato  in  dottrina
 parecchi dubbi di legittimita'.
    In  realta',  una  corretta  valutazione  dell'istituto  non  puo'
 prescindere anzitutto dall'individuazione della  sua  esatta  natura.
 Sotto  questo  profilo, sono state spesso sopravvalutate le affinita'
 sia con la liquidazione coatta  amministrativa,  sia  con  l'istituto
 della straordinaria amministrazione delle grandi imprese in crisi.
    E'   innegabile   che  anche  questi  ultimi  due  istituti  siano
 giustificati dalle finalita'  pubblicistiche  connesse  all'attivita'
 delle  diverse  categorie  di  imprese  ad  esse  soggette,  le quali
 involgono molteplici interessi, o  perche'  attengono  a  particolari
 settori  dell'economia nazionale o esercitano su di essa una concreta
 influenza per le loro dimensioni, o perche' si trovano  in  posizione
 di complementarieta', dal punto di vista teleologico o organizzativo,
 con la p.a. (cfr. Corte costituzionale nn. 159/1975 e 87/1969).
    Purtuttavia,   esistono  importanti  argomenti  per  sostenere  la
 prevalenza, in tali due  procedure,  della  natura  satisfattiva  dei
 creditori, rispetto a quella conservativa e risanatoria delle imprese
 interessate.
   La  stessa  Corte  costituzionale,  con  le sentenze nn. 222/1984 e
 155/1980 (in tema di liquidazione coatta amministrativa), e 181 e 185
 del 1987 e 41/1985 (in tema di amministrazione straordinaria), si  e'
 soffermata  sugli  aspetti giurisdizionali delle procedure de quibus,
 sottolineandone le  affinita'  negli  obbietttivi  con  la  procedura
 fallimentare.
    In    particolare,    per    quanto   concerne   l'amministrazione
 straordinaria,   bastera'   ricordare   che   la   procedura    viene
 disciplinata,  salvo contraria indicazione, dagli artt. 195 e segg. e
 237 della l.f. (art. 1, quinto comma, del d.l. n. 26/1979), e che la
 continuazione   dell'esercizio   dell'impresa   costituisce   ipotesi
 meramente  eventuale,  dovendosi  in  mancanza procedere direttamente
 alla fase concorsuale (art. 2 del d.l. n.  26/1979);  del  resto  la
 Corte  costituzionale,  dichiarando  la  legittimita' dell'estensione
 alla amministrazione straordinaria delle norme  che  disciplinano  la
 liquidazione coatta amministrativa, e soprattutto di quelle aventi ad
 oggetto  i  delitti  di bancarotta, ha precisato che " .. accomuna le
 due procedure la finalita' di attuare la responsabilita' patrimoniale
 delle imprese soggette mediante la soddisfazione  dei  creditori  .."
 (Corte  costituzionale  n. 185/1987).  Ancora, non va dimenticato che
 la suprema Corte, nel ritenere manifestamente infondata la  questione
 di  legittimita'  costituzionale  delle  leggi nn. 95/1979 e 544/1981
 nella  parte  in  cui  pongono  il  divieto   di   azioni   esecutive
 individuali,  pur  facendo  riferimento  alla funzione di risanamento
 perseguita dalla normativa dell'amministrazionestraordinaria, non  ha
 mancato di aggiungere che tale risanamento si risolve in un vantaggio
 per  gli  stessi  creditori,  sottolineando cosi' la permanenza della
 finalita' satisfattiva della procedura (Cass. n. 11445/90).
    Nel  procedimento  che  qui  interessa,  invece,  deve   ritenersi
 prevalente   l'aspetto   conservativo   (pur   se   inteso  non  come
 mantenimento delle strutture patrimoniali ed  occupazionali  in  capo
 all'ente disciolto e alle societa' controllate, ma come continuazione
 dell'attivita' in seguito a cessione a terzi) e risanatorio.
    L'assunto e' confortato da diversi argomenti.
    La  procedura di cui al d.l. n. 487/1992 vale anzitutto per tutte
 le societa' controllate dall'Efim, e  quindi  anche  per  quelle  non
 insolventi,  o  altrimenti in stato di crisi, o comunque responsabili
 di irregolarita' di  funzionamento,  tanto  e'  vero  che  l'art.  6,
 secondo  comma, prevede che il commissario possa proporre al Ministro
 del tesoro la deroga  alla  sospensione  dei  pagamenti,  purche'  si
 tratti di societa' che abbiano chiuso in attivo il bilancio dell'anno
 1991 o di uno degli anni del biennio precedente.
    La  messa  in  liquidazione  coatta  amministrativa,  inoltre,  e'
 considerata solamente come ipotesi residuale,  qualora  la  societa',
 allo  scadere  dei due anni dalla data di approvazione del programma,
 risulti ancora controllata dall'Efim, mentre e' evidente che la legge
 individua la cessione a  terzi  (o,  in  subordine,  la  liquidazione
 attuata dal commissario) come la soluzione preferibile.
    Non  va  neppure  dimenticato  che  per  le  societa' operanti nel
 settore dell'alluminio, quale la Comital,  la  funzione  satisfattiva
 della  procedura  sembra  comunque  porsi  in  secondo piano rispetto
 all'attuazione  dei  principi  di  ristrutturazione   delle   imprese
 interessate, secondo il piano triennale di cui si e' detto.
    4.  -  Se  quanto  finora  detto  e'  vero,  deve  preliminarmente
 prospettarsi la questione della legittimita' del divieto delle azioni
 esecutive a fronte di un programma con prevalenti funzioni  conserva-
 tive  e  risanatorie,  e  non  immediatamente satisfattive.   Bisogna
 ammettere che la legittimita' di tale divieto non puo'  essere  posta
 in  dubbio.    Di  fronte  al prevalente interesse generale diretto a
 evitare l'incontrollato diffondersi degli effetti della crisi  di  un
 importante  gruppo di imprese, quale e' quello controllato dall'Efim,
 il  legislatore  ben  puo'  sottoporre  a   temporanea   e   limitata
 compressione il diritto di agire da parte dei creditori, senza che ne
 risulti   la   rilevante   violazione   degli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione.
    Il  nostro  ordinamento,  del  resto, prevede gia' almeno un altro
 istituto con prevalenti finalita' risanatorie a fronte del  quale  e'
 sancito  il divieto delle azioni esecutive, e cioe' l'amministrazione
 controllata disciplinata dagli artt. 187 e segg. della l.f.
    Ora, poiche' per opinione  unanime  l'amministrazione  controllata
 deve  considerarsi un beneficio concesso all'imprenditore per tentare
 di risanare le sorti dell'impresa (e, si noti bene,  di  una  singola
 impresa),  a  maggior  ragione  si  puo'  ritenere che una temporanea
 limitazione dei diritti dei creditori sia giustificata da  una  crisi
 diffusa e importante quale e' quella dell'intero gruppo delle aziende
 facenti  capo all'Efim.   Senonche', in virtu', dei principi generali
 dell'ordinamento, si deve comunque escludere che la compressione  dei
 mezzi  di  tutela  dei  creditori possa assumere connotazioni tali da
 portare alla perdita  del  diritto  (cfr.  Corte  costituzionale  nn.
 159/1975 e 87/1969, cit.).
    Cio'  significa  che  la  compressione dovra' essere temporanea, e
 tale  da  non  privare  il  soggetto  della  tutela   giurisdizionale
 necessaria per non svuotare di effettivita' il proprio diritto.
   Ancora,  per  evitare  una  illegittima violazione del principio di
 uguaglianza e del  principio  di  liberta'  dell'attivita'  economica
 (qualora  il  creditore  sia  un  imprenditore),  non potranno essere
 previste ingiustificate deroghe al divieto di azione e al correlativo
 obbligo del creditore di non effettuare pagamenti  in  spregio  della
 par condicio.
    Invero,  e'  evidente  che  a  un creditore puo' essere imposto un
 differimento nella soddisfazione del proprio diritto, in quanto anche
 gli altri creditori subiscano analogo sacrificio, e in  quanto  siano
 adottate  le  opportune  cautele  affinche' il debitore non sminuisca
 ingiustificatamente  l'integrita'  del  patrimonio   con   cui   deve
 adempiere  alle  obbligazioni assunte (art. 2740 del c.c.).  Qualora,
 invece,  l'improponibilita'  delle   azioni   esecutive   non   fosse
 accompagnata  dalle garanzie che devono in ogni caso controbilanciare
 il sacrificio sopportato  dai  creditori,  l'improponibilita'  stessa
 assumerebbe   il   carattere  di  una  sostanziale  ed  inammissibile
 espropriazione del credito.
    Si stratta quindi, attesa l'astratta legittimita' del principio di
 cui all'art. 6, sesto comma, del d.l. n. 487/1992 in relazione  alle
 finalita'  perseguite  dal legislatore, di verificare se la regola de
 qua sia inserita in un contesto di norme che  tutelino  i  creditori,
 oppure  se  il  tenore globale del complesso normativo di riferimento
 sia tale da compromettere i diritti di questi.
    In quest'ultima ipotesi, invero,  non  e'  chi  non  veda  che  il
 mancato  rispetto delle condizioni che devono accompagnare il divieto
 delle azioni esecutive  si  rifletterebbe  direttamente  sul  divieto
 stesso,   rendendolo  illegittimo.    Ora,  sotto  il  profilo  della
 temporaneita' del divieto ex art. 6, sesto  comma,  la  normativa  in
 esame non appare costituzionalmente viziata.  Al piu' tardi trascorso
 un  biennio  dall'approvazione  del  programma,  le  societa'  ancora
 controllate dall'Efim dovranno  essere  assoggettate  a  liquidazione
 coatta   amministrativa,   e   verra'  quindi  avviata  la  procedura
 satisfattiva  (art.  4,  terzo  comma).    E'  vero  che  esiste  tra
 quest'ultima  norma  e  l'art.  2,  secondo  comma,  un  problema  di
 coordinamento, poiche' i principi di ristrutturazione delle  societa'
 operanti  nel  settore  dell'alluminio,  indicati  nel  programma del
 commissario,  devono  essere  attuati  secondo  un  piano  triennale,
 destinato  pertanto  a protrarsi oltre la scadenza del termine di cui
 all'art. 4, terzo comma.
    E' ragionevole ritenere, tuttavia, che allo spirare  del  triennio
 non si potranno adottare soluzioni diverse da quella gia' illustrata,
 nel  senso  che  le  imprese,  non  liquidate o cedute in precedenza,
 dovranno essere sottoposte a liquidazione coatta amministrativa.  Per
 quanto concerne invece  la  tutela  giurisdizionale  di  cui  possono
 usufruire  i  creditori delle societa' controllate non totalmente, la
 questione e' piu' complessa.  Nella procedura disegnata dal d.l.  n.
 487/1992,   sono   atribuiti   al  commissario  poteri  molto  vasti,
 finalizzati  ad  attuare  con  la  piu'  ampia  discrezionalita'   la
 razionalizzazione  industriale  delle  societa' controllate; solo con
 l'avvio della eventuale liquidazione coatta amministrativa si ritorna
 ad un procedimento tipico, con collaudate garanzie giurisdizionali.
    Ora, stante la difficolta' dell'opera affidata al commissario,  il
 legislatore  ha  ritenuto  di  limitare  la  sua responsabilita' alle
 ipotesi di dolo e colpa grave, secondo un principio  di  opportunita'
 di  cui  esistono  nell'ordinamento altre applicazioni (es. art. 2236
 del c.c.); inoltre, con l'evidente scopo di conferire stabilita' agli
 atti  posti  in  essere  in  esecuzione  del  programma  (e  per  non
 "scoraggiare" i terzi interlocutori), ha sancito l'inapplicabilita' a
 tali  atti  delle  disposizioni  di cui agli artt. 2901 del c.c. e 67
 della l.f. (art. 8, primo comma).
    Senonche', la scelta legislativa  in  ordine  all'inammissibilita'
 delle  revocatorie  suscita  notevoli  perplessita',  poiche' viene a
 determinare un sensibile aggravamento della posizione dei  creditori,
 non  legittimati  ad  impugnare  gli  atti  commissariali  ed intanto
 immobilizzati  nelle  azioni  esecutive.    Si  puo'  ammettere  che,
 nell'ambito  della  riorganizzazione di un vasto ed importante gruppo
 industriale,  il  commissario  debba  avere  di  mira  esclusivamente
 l'attuazione  del  piano  generale,  e che questo ampio disegno debba
 pertanto prevalere di fronte agli aspetti particolari  delle  singole
 vicende  aziendali.  Il commissario, pero', non ha certo il potere di
 sacrificare ingiustificatamente i  diritti  di  alcuno,  ne'  risulta
 ragionevole, per attribuire certezza agli atti commissariali, rendere
 insindacabili   quelli   tra   essi   incidenti   sulla   consistenza
 patrimoniale delle societa' del gruppo, e quindi  idonei  a  influire
 direttamente  sulle  possibilita'  di  soddisfacimento dei creditori.
 Sotto questo aspetto, la non assogettabilita' alle azioni revocatorie
 della  gestione  commissariale  non  appare  ne'   giustificata   ne'
 proporzionata  allo  scopo  che  si intende perseguire, ne' tantomeno
 rispettosa delle ragioni  dei  creditori,  le  cui  aziende,  non  va
 dimenticato,  potrebbero  a  loro  volta  risentire,  in seguito alla
 sospensione dei pagamenti, di una crisi di  non  minore  gravita'  di
 quella che affligge le aziende del gruppo Efim.  Quanto appena detto,
 da  porre  in  relazione  agli atti di diritto privato occorrenti per
 l'attuazione del programma (cfr.  art.  4,  primo  comma),  offre  lo
 spunto per un'ulteriore censura della normativa de qua.
    La  stessa disposizione di cui all'art. 8, primo comma, unitamente
 ad  altre  previsioni   del   decreto-legge   (l'applicazione   della
 sospensione  dei  pagamenti anche alle societa' controllate in bonis,
 salvo  il  disposto  di  cui  all'art.  6,   terzo   comma,   nonche'
 l'indicazione, come unico fine del programma, della razionalizzazione
 industriale  delle societa' controllate), dimostra che il legislatore
 ha  inteso  perseguire  esclusivamente  l'interesse ad una organica e
 completa liquidazione del  gruppo,  omettendo  di  richiamare,  anche
 quale  criterio  sussidiario  nell'ambito  delle  scelte  da operare,
 l'interesse dei creditori.  Ora, se si considera  che  in  tutti  gli
 istituti  di  analoga  natura  tale  interesse  e'  sempre  tenuto in
 considerazione  (si  veda,  per  l'amministrazione  controllata,   la
 deliberazione  dei  creditori  di cui all'art. 189 della l.f.; per la
 liquidazione coatta amministrativa,  l'istituzione  del  comitato  di
 sorveglianza  di  cui  all'art.  198  della l.f., i cui membri devono
 essere possibilmente scelti tra i  creditori;  per  l'amministrazione
 straordinaria,  la  necessaria  presenza  di  uno o due creditori nel
 comitato di sorveglianza, nonche' l'esigenza  di  tener  conto  anche
 dell'interesse   dei   creditori  nella  scelta  della  continuazione
 dell'esercizio dell'impresa), sorge il dubbio  se  il  divieto  delle
 azioni  esecutive  non  debba  essere  quantomeno  accompagnato dalla
 previsione   tra   i   fini   del   programma   della   realizzazione
 dell'interesse dei creditori.
    In   relazione  a  tale  profilo,  la  questione  di  legittimita'
 dell'art. 6, sesto comma, non e' manifestamente  infondata.    Invero
 l'utilita'  sociale  di giungere alla liquidazione dell'intero gruppo
 facente capo all'Efim non  puo'  far  passare  in  secondo  piano  la
 considerazione   dell'interesse   dei  creditori.    Questi,  con  la
 sospensione dei pagamenti  ed  il  divieto  delle  azioni  esecutive,
 sopportano  un  pesante aggravio nella gestione delle loro aziende, e
 tale temporaneo sacrificio dei  loro  diritti  non  puo'  non  essere
 bilanciato, almeno, da una accurata valutazione dei loro interessi in
 sede  di  attuazione del programma.  Del resto se e' vero, come si e'
 detto, il d.l. n. 487/1992 persegue finalita' risanatorie  piu'  che
 immediatamente  satisfattive,  e' altrettanto vero che il legislatore
 non  poteva  predisporre  un'adeguata  procedura  se  non   incidendo
 direttamente  sulla  sfera  giuridica  dei creditori: le loro ragioni
 devono pertanto venire in considerazione, poiche' l'utilita' sociale,
 sottesa al procedimento de quo,  non  puo'  prescindere  da  un  equo
 contemperamento di tutti gli interessi in gioco.
    Non   vi   e'  quindi  alcun  motivo  per  non  considerare  anche
 l'interesse dei creditori tra i criteri  di  valutazione  che  devono
 giudare le scelte discrezionali del commissario.
    Va   ancora   aggiunto   che,   ritenendo  ammissibile  la  totale
 pretermissione dell'interesse dei creditori dai fini della procedura,
 verrebbe inoltre a concretarsi  per  i  creditori  una  irragionevole
 limitazione  della tutela giurisdizionale in sede amministrativa.  E'
 chiaro,  infatti,  che  gli   atti   di   approvazione   ministeriale
 dell'operato  del  commissario (operato, va ripetuto, incidente sulla
 consistenza del patrimonio aziendale del debitore,  che  conserva  la
 sua   funzione  essenziale  di  garanzia)  possono  utilmente  essere
 impugnati dai  creditori  di  fronte  agli  organi  di  giurisdizione
 amministrativa,  solo  in  quanto  sia prospettato un vizio dell'atto
 amministrativo circa il modo di intendere  e  realizzare  il  proprio
 interesse   (cfr.   Cass.  n.  11445/90,  cit.).    Qualora,  invece,
 l'interesse dei creditori non  fosse  ricompreso  tra  i  criteri  di
 indirizzo  dell'azione  commissariale,  i creditori stessi vedrebbero
 svuotato di contenuto il loro diritto di azione  innanzi  al  giudice
 amministrativo,  essendo  assai  dubbio che il perseguimento del solo
 fine  della  razionalizzazione  industriale  del  gruppo  Efim  possa
 determinare il sorgere in capo ai creditori di un interesse legittimo
 al  corretto esercizio dell'azione amministrativa (e non determinare,
 al contrario, la natura meramente fattuale di quest'interesse).
    Al contrario, la  diretta  incidenza  delle  scelte  commissariali
 sulla loro sfera giuridica, nonche' la loro particolare e qualificata
 posizione  nei confronti della procedura, impone il riconoscimento ai
 creditori della posizione  sostanziale  dell'interesse  legittimo  ad
 invocare  in  proprio  favore  le norme stabilite per l'esercizio del
 potere amministrativo.
    Ritornando alla verifica delle condizioni che devono  accompagnare
 il  divieto  delle  azioni  esecutive,  si e' piu' sopra detto che la
 temporanea  compressione  dei  diritti  dei  creditori  puo'   essere
 giustificata  solo  in  quanto  sia  rispettata la par condicio, e in
 quanto il  patrimonio  del  debitore  non  venga  ingiustificatamente
 depauperato.  Tali condizioni non sono rispettate da tre disposizioni
 del  decreto  de quo.  In primo luogo, viene in considerazione l'art.
 6, primo comma, nella parte in cui stabilisce che il commissario puo'
 disporre, per ragioni di utilita' ed urgenza e  con  l'autorizzazione
 del  Ministro  del  tesoro,  il  pagamento  parziale dei debiti delle
 societa' controllate (il pagamento totale,  com'e'  ovvio,  non  crea
 pregiudizio  ad  alcun  creditore,  ne'  va  dimenticato che tutta la
 normativa in esame viene valutata in riferimento ai  creditori  delle
 societa'  controllate non integralmente, per le quali non e' previsto
 il pagamento totale dei debiti, ma solo nei limiti  del  patrimonio).
 Ora,  tale  norma non puo' essere interpretata nel senso di prevedere
 degli acconti ai creditori, o ad alcune categorie di essi (in  questo
 caso  ne risulterebbe palese la legittimita'), poiche' tale finalita'
 e' gia' contemplata dall'art. 4, dodicesimo  comma,  che  richiama  i
 criteri  di  cui all'art. 2, settimo comma, della legge Prodi, ma nel
 senso di prevedere il pagamento soltanto di alcuni creditori.
    Sotto   questo   profilo,   la    norma    appare    ingiustamente
 discriminatoria   e  idonea  a  condizionare  gravemente  l'attivita'
 economica delle imprese non favorite, le quali non solo continuano  a
 non  vedere  pagati i propri crediti e sono bloccate sul fronte delle
 azioni esecutive, ma vedono pregiudicata  dall'attuale  pagamento  ad
 altri  creditori anche la prospettiva futura del soddisfacimento. Non
 si vede, del resto, quali ragioni di utilita' ed  urgenza  potrebbero
 giustificare  la  violazione  della  par condicio, che, al contrario,
 permette  la  compressione  dei  diritti  dei  creditori  proprio   a
 condizione che venga rispettata la posizione di uguaglianza.
    Le   altre   due   disposizioni   che   contribuiscono  a  rendere
 eccessivamente gravosa la preclusione per i creditori  dell'esercizio
 delle  azioni  esecutive,  sono  strettamente connesse tra loro.   La
 prima e' l'art. 6, secondo  comma,  lett.  d),  nella  parte  in  cui
 prevede  che  non si applichi la sospensione dei pagamenti dei debiti
 da una societa' controllata non totalmente dall'Efim nei confronti di
 un'altra societa' controllata.   Occorre  premettere  che  l'art.  6,
 secondo  comma,  disciplina  le  ipotesi  in  cui  non  si applica la
 sospensione  dei  pagamenti  da  parte  dell'Efim  e  delle  societa'
 controllate.    Si  tratta  di  ipotesi  in  cui il mancato pagamento
 potrebbe ostacolare l'attivita' del commissario  e  l'attuazione  del
 programma (ad esempio, i debiti della gestione commissariale), oppure
 per  le  quali  la sospensione non avrebbe utilita' alcuna, stante la
 previsione di pagamento integrale (ad esempio, per i debiti dell'Efim
 e delle societa' interamente controllate per le quali sia prevista la
 liquidazione).
    Tra  le  varie  ipotesi  previste,  vi e' anche quella di cui alla
 lett. d), per la quale la sospensione non si applica ai debiti  delle
 societa' controllate nei confronti di altre societa' controllate.
    Senonche',  mentre  tale  previsione  e'  giustificata  qualora la
 societa' debitrice sia controllata integralmente  dall'Efim,  essendo
 in  questo  caso  disposto  il  pagamento  totale  dei debiti, non si
 giustifica  invece  qualora  l'ente   debitore   sia   una   societa'
 controllata  solo  parzialmente, per l'evidente alterazione della par
 condicio.  In altri termini, si viene  a  creare  una  disparita'  di
 trattamento   tra  i  creditori  di  una  societa'  controllata  solo
 parzialmente dall'Efim, a seconda che il creditore  sia  un  soggetto
 "normale"  oppure un'altra societa' controllata, poiche' quest'ultima
 ha  diritto  al  pagamento.     Neppure  tale   disparita'   acquista
 ragionevolezza  se posta in relazione al buon esito del programma, in
 quanto non vi e' motivo per ritenere che gli  spostamenti  di  denaro
 all'interno   del   gruppo   possano  agevolare  la  riorganizzazione
 industriale, mentre i creditori subiscono  un  immediato  pregiudizio
 per  la  diminuzione  patrimoniale  del  proprio debitore.   In altri
 termini, se  la  legge  dispone  di  "cristallizzare"  la  situazione
 patrimoniale  delle  societa'  interessate esistente alla data del 18
 luglio 1992, appare  conforme  ai  principi  che  tutti  i  creditori
 subiscano  lo  stesso  trattamento,  anche  se  uno  di  essi sia per
 avventura un'altra societa' del gruppo.  La norma de  qua,  tuttavia,
 non  vale per i debiti di qualsiasi natura, ma deve essere coordinata
 con il disposto dell'art. 7, terzo comma,  il  quale  prevede  che  i
 crediti   derivanti   da  prestiti  tra  societa'  controllate  siano
 convertiti in capitale sociale delle societa' mutuatarie.
    In altri termini, la norma di cui all'art. 6, secondo comma, lett.
 d), riguarda tutti i debiti delle societa'  controllate  verso  altre
 societa' controllate, ad eccezione di quelli nascenti da prestiti tra
 societa'  del  gruppo, per i quali vale la disciplina di cui all'art.
 7, terzo comma.
    Anche quest'ultima norma, pero', non si sottrae a censura  per  la
 disparita'  di trattamento tra i creditori delle societa' controllate
 non totalmente, a seconda che la societa' debitrice abbia  effettuato
 dei  prestiti  ad  altra  societa' controllata, oppure no.  Invero, a
 parte i problemi derivanti dall'applicazione della  norma,  interessa
 in  questa  sede  rilevare  il pregiudizio subito dai creditori della
 societa' mutuante. Mentre tale societa' dovrebbe di regola concorrere
 con gli altri creditori, e soddisfarsi in pari  proporzione  (con  la
 conseguenza  che il suo patrimonio si incrementerebbe del ricavato, e
 i propri creditori ne trarrebbero il  corrispondente  vantaggio),  in
 seguito  alla  disposizione  di  cui  all'art.  7,  terzo  comma,  la
 prospettiva diventa piu' difficile.  A fronte della  conversione  del
 credito  in  capitale sociale, invero, trova applicazione l'art. 2350
 del c.c., che prevede per ogni azione l'attribuzione del diritto alla
 parte   proporzionale   del   patrimonio   netto   risultante   dalla
 liquidazione, e cioe' dopo il pagamento di tutti i creditori.
   E'  quindi  evidente  che  la  procedura  ex  art.  7, terzo comma,
 determina il peggioramento  delle  aspettative  dei  creditori  della
 societa'   mutuante   rispetto  ai  creditori  delle  altre  societa'
 controllate.   Riassumendo quanto  finora  detto,  la  norma  di  cui
 all'art. 6, sesto comma, che pone il divieto delle azioni individuali
 esecutive,  appare  in  linea  astratta  legittima  in relazione alle
 finalita' perseguite dal legislatore.   Tuttavia, in  riferimento  ai
 creditori   delle  societa'  controllate  dall'Efim  in  maniera  non
 integrale, vi sono singoli aspetti del d.l.  n. 487/1982 che rendono
 non  manifestamente  infondata  la   questione   della   legittimita'
 costituzionale   del   divieto   de   quo,   poiche'  determinano  la
 possibilita'  che  tali   creditori   subiscano   delle   conseguenze
 pregiudizievoli  ben  piu'  gravi di quelle legittimamente imposte, e
 piu' precisamente:
      l'art.  8,  primo   comma,   nella   parte   in   cui   sancisce
 l'inapplicabilita'  degli  artt.  2901  del c.c. e 67 della l.f. agli
 atti compiuti dopo il 18 luglio 1992 dal commissario  liquidatore  e,
 su specifica autorizzazione di questi, dalle societa' controllate;
      l'art.  2, secondo comma, nella parte in cui non prevede, tra le
 finalita' che deve realizzare il programma commissariale, l'interesse
 dei creditori;
      l'art. 6, primo  comma,  nella  parte  in  cui  prevede  che  il
 commissario,   per  motivate  ragioni  di  utilita'  ed  urgenza,  su
 autorizzazione del Ministro del  tesoro,  possa  sempre  disporre  il
 pagamento   parziale   dei  debiti  delle  societa'  controllate  non
 totalmente;
      l'art. 6 secondo comma,  nella  parte  in  cui  prevede  che  la
 sospensione  dei  pagamenti  non  si applica ai debiti delle societa'
 controllate  non  totalmente  nei   confronti   di   altre   societa'
 controllate;
      l'art.   7,  terzo  comma,  qualora  la  societa'  mutuante  sia
 controllata non totalmente.
    In altre parole, questi singoli  aspetti  del  d.l.  n.  487/1992
 impediscono  che la preclusione dell'esercizio delle azioni esecutive
 sia bilanciata da una adeguata "contropartita", creando al  contrario
 uno squilibrio, che appare ingiustificato, tra la ratio del divieto e
 le  conseguenze  da  esso derivanti.   Si tratta ora di affrontare il
 profilo   della   rilevanza   della   questione    di    legittimita'
 costituzionale dell'art. 6, sesto comma, cosi' come prospettata.
    La questione e' rilevante.
    Invero,  a  fronte  dell'intenzione della I.C.L.A. di procedere ad
 esecuzione forzata nei  confronti  della  Comital,  e  dell'immediata
 eccezione   di  quest'ultima  in  ordine  alla  nullita'  dell'azione
 esecutiva  ex  art.  6,  sesto  comma,  la  societa'  creditrice   ha
 legittimamente   lamentato   l'ingiustizia  del  sacrificio  ad  essa
 imposto.   Ne deriva che il presente  procedimento  non  puo'  essere
 definito indipendentemente dalla risoluzione della questione (art. 23
 della  legge  n.  87/1953).   Si potrebbe opporre che, costituendo il
 divieto  delle  azioni  esecutive  uno  degli  strumenti  portanti  e
 necessari  di  qualsiasi  procedura  liquidatoria o conservativa, non
 sarebbe corretto prospettare la questione di  legittimita'  dell'art.
 6,  sesto  comma,  ma  il  creditore dovrebbe eventualmente sollevare
 l'eccezione nei confronti delle altre norme sopra illustrate, qualora
 ne risultasse concretamente pregiudicato (ad esempio, nell'ipotesi in
 cui il commissario abbia posto in  essere  un  atto  suscettibile  di
 impugnazione e x art. 2901 del c.c.).
    L'assunto e' infondato.
    Anzitutto,  il problema della costituzionalita' delle disposizioni
 citate non e' direttamente pertinente al  presente  processo.    Tali
 norme interessano in questa sede perche' costituiscono il contesto in
 cui  si  inserisce  il  divieto  delle  azioni  esecutive:  e'  pero'
 quest'ultimo  istituto  ad  essere   immediatamente   sospettato   di
 illegittimita', in quanto, proprio per l'impianto normativo in cui e'
 operante,  appare  ingiustamente discriminatorio.   In secondo luogo,
 sarebbe in palese contrasto con l'art. 24 della Costituzione  imporre
 intanto   una  non  lieve  compressione  del  diritto  di  azione,  e
 costringere poi il creditore, in nome di una intoccabile  presunzione
 di legittimita' del divieto delle azioni esecutive nell'ambito di una
 procedura liquidativa o risanatoria, ad un gravoso onere di controllo
 delle  attivita'  del  debitore,  per  essere  in  grado di sollevare
 tempestivamente la questione di  legittimita'  delle  norme  (diverse
 dall'art.  6,  sesto  comma)  nei suoi confronti pregiudizievoli.  Le
 conclusioni esposte sono del resto conformi  a  quanto  affermato  in
 tema  di amministrazione controllata dalla suprema Corte, la quale ha
 ritenuto rilevante la questione di legittimita' avente ad oggetto  il
 divieto  delle  azioni esecutive in relazione all'intera legge Prodi,
 osservando  che  "  ..  il  procedimento  in  corso  ha  per  oggetto
 l'inefficacia     del     pignoramento     immobiliare    nell'ambito
 dell'amministrazione controllata; onde appare evidente la diretta in-
 fluenza su di esso della contestazione, involgente in ogni sua  parte
 la  legge  in  esame,  secondo  cui  il  legislatore speciale avrebbe
 precluso ai creditori, senza contropartita,  l'esercizio  dell'azione
 esecutiva,  con  pregiudizio  dello  stesso  diritto  sostanziale  di
 credito .." (Cass. n. 11445/90,  cit).    Deve  pertanto  dichiararsi
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art. 6, sesto comma, in relazione alle norme del
 d.l. n. 487/1992 sopra indicate.
    5.  -  Non  possono  invece  venire  accolte  le   altre   censure
 prospettate dalla I.C.L.A.
    In particolare:
       a)   deve   ritenersi  manifestamente  infondata  la  questione
 derivante dalla presunta disparita'  di  trattamento  dei  creditori,
 discriminati  sulla  base  di  un  dato  puramente  formale, quale la
 percentuale di controllo.
    In  altri  termini,  la  convenuta  lamenta   la   disparita'   di
 trattamento tra i creditori di una societa' controllata integralmente
 dall'Efim (per i quali e' previsto, per il periodo corrispondente, il
 pagamento  totale),  e  i  creditori di una societa' controllata solo
 parzialmente (per i quali il pagamento viene contenuto nei limiti del
 patrimonio), qualora la pluralita' degli azionisti sia un dato  privo
 di  qualsiasi  rilevanza  sostanziale.    Nell'ipotesi della Comital,
 infatti, l'Efim ha un controllo azionario pari al 99,99%.   A  questo
 proposito,  occorre  sottolineare  che  la  previsione  del  d.l. n.
 487/1992 in ordine al pagamento  integrale  dei  debiti  dell'Efim  e
 delle  societa' interamente controllate, riposa sul principio ex art.
 2362 del c.c., in base al  quale,  in  caso  di  insolvenza,  per  le
 obbligazioni  sociali  sorte  nel  periodo in cui le azioni risultano
 essere   appartenute   ad   una   sola   persona,   questa   risponde
 illimitatamente.
    Ora, la giurisprudenza costante ed unanime ha sempre precisato che
 l'applicazione   dell'art.   2362  del  c.c.  richiede  il  controllo
 azionario  nella  misura  del  100%,  non  potendosi  ritenere  unico
 l'azionista  qualora  le  azioni  facciano  al  contrario capo a piu'
 persone, indipendentemente dall'esiguita' della percentuale posseduta
 da qualche socio.   Verrebbero altrimenti  messi  in  crisi  tutti  i
 principi    in   materia   societaria,   introducendo   inoltre   una
 inammissibile "correzione" della volonta' delle parti e  dell'oggetto
 del  contratto  sociale  sulla  base  di un inafferrabile criterio di
 esiguita' della partecipazione.   Ne consegue  che  il  dato  formale
 della  presenza  di  piu'  azionisti puo' venire messo in discussione
 solo quando, per il tramite di mandatari o di intestazioni fittizie o
 fraudolente, tutte le azioni  facciano  sostanzialmente  capo  ad  un
 unico soggetto (v. per tutte, Cass. nn. 2879/85 e 6712/82).
    Risulta  pertanto evidente che la disciplina del d.l. n. 487/1992
 sotto questo profilo e' del tutto conforme ai principi generali;
       b) e' parimenti manifestamente infondata,  ed  irrilevante,  la
 questione di legittimita' dell'art. 6, secondo comma, lett. f), nella
 parte  in cui dispone che la sospensione dei pagamenti non si applica
 ai prestiti obbligazionari di cui alla legge 22 ottobre 1986, n.  910
 (legge   finanziaria  1987),  al  d.l.  19  ottobre  1985,  n.  547,
 convertito nella legge 20 dicembre 1985, n.  749,  e  alla  legge  27
 dicembre 1983, n. 730 (legge finanziaria 1984).  La legge finanziaria
 del  1987  (art.  3, undicesimo e tredicesimo comma), quella del 1984
 (art. 38), nonche' il d.l. n. 547/1985 (artt. 1 e 3)  hanno  infatti
 previsto   l'autorizzazione   per   gli   enti   di   gestione  delle
 partecipazioni statali a fare ricorso alla BEI per la contrazione  di
 appositi mutui, nonche' ad emettere obbligazioni sul mercato interno.
 Ora,  poiche'  l'onere  dei  suddetti  mutui ed obbligazioni e' stato
 assunto a carico del bilancio dello Stato,  correttamente  l'art.  6,
 secondo  comma,  lett.  f),  in esame dispone che il pagamento verra'
 effettuato  dal  Tesoro.    Deriva  dalla  normativa  illustrata  che
 solamente  l'Efim  aveva  il  potere di emettere le obbligazioni e di
 contrarre i prestiti de quibus, per cui nessun  pagamento  e'  dovuto
 dalle societa' controllate.
    E' quindi evidente che tale normativa non interessa minimamente le
 societa' controllate, ne' i loro creditori;
       c)   e'   infine,  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' dell'art. 6, quarto comma, nella parte  in  cui  prevede
 che   la   sospensione  dei  pagamenti  non  si  applichi  agli  enti
 finanziatori delle societa' controllate.
    L'interpretazione  prospettata  della  norma,  infatti,  non  puo'
 essere  accolta.  Premesso che l'art. 6, sesto comma, pone non facili
 problemi esegetici, ai fini che qui interessano, tuttavia, il secondo
 periodo dello stesso art. 6, sesto comma, non lascia  adito  a  dubbi
 interpretativi,  statuendo  chiaramente che "Ad essi (ai contratti ed
 alle operazioni di  finanziamento)  si  applicano  le  norme  di  cui
 all'art.  5,  primo  comma, qualora si tratti di obbligazioni assunte
 dall'ente soppresso o  dalle  societa'  di  cui  alla  lett.  b)  del
 predetto  comma".   Risulta quindi ovvio che la disciplina dei debiti
 nei confronti delle banche  e  degli  enti  finanziatori  non  assume
 connotati  diversi  rispetto  agli  altri  creditori,  in  quanto  e'
 previsto il pagamento integrale di  tali  debiti  solo  se  contratti
 dall'Efim  o  dalle  societa'  controllate  totalmente, mentre per le
 altre societa' controllate vale il consueto regime del pagamento  nei
 limiti  del  patrimonio,  con  il  conseguente  divieto  delle azioni
 esecutive  e  la  correlativa  sospensione  dei  pagamenti.    Nessun
 pregiudizio  reca  pertanto  l'art. 6, quarto comma, alle ragioni dei
 creditori delle societa' controllate.